giovedì 14 marzo 2013

TASSE PAZZE: FERITA CIVILE

Penso che le tasse in Italia siano decisamente troppo alte e terribilmente squilibrate. E soprattutto finanzino una macchina pubblica costosa e inefficiente, che rifiuta ancora oggi ogni misurazione dei risultati e della produttività, e che per di più fornisce servizi inadeguati rispetto alle risorse utilizzate.

Negli ultimi anni si è creata una forte iniquità nel rapporto tra fisco e contribuenti: si è rotto il patto di convivenza su cui si fonda la comunità nazionale, che ha il suo pilastro nella ratio sancita dall'articolo 53 della Costituzione, secondo cui "tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva". Non è più così, evidentemente. Infatti questa legge è abrogata di fatto dagli studi di settore, che invece indicano una quota predeterminata di imposte dovute da parte dei lavoratori autonomi. In particolare ciò che rende intollerabili gli studi di settore è che obbligano chi guadagna poco a pagare di più, mentre consentono a chi guadagna tanto di dichiarare di meno.

Io sono convinto che la causa di questa penalizzazione non sia il mercato, ma lo Stato! Uno Stato che pesa tantissimo, e lo si può constatare dall'eccessiva imposizione a carico dei nostri lavoratori dipendenti, le cui retribuzioni nette vengono abbattute dall'enorme cuneo fiscale e contributivo italiano (circa il 45% del costo del lavoro, ovvero la differenza tra lordo e netto in busta paga). A questo si aggiunga che gli italiani incassano ogni anno le retribuzioni medie più basse (stipendi e pensioni) tra i grandi Paesi europei (il 23% in meno per l'esattezza). Uno Stato che deve pagare ai propri fornitori circa 100 miliardi di euro (tra ritardi e credit crunch). Uno Stato che paga in media a 180 giorni, mentre la media UE è di 65.

Ecco perché le elezioni politiche che abbiamo appena lasciato alle spalle hanno indicato i temi delle tasse e della questione fiscale (Imu e condoni vari), del lavoro e della riscossione (Equitalia) come le "domande" principali degli italiani nei confronti della politica. E i partiti o i politici che ne hanno parlato in campagna elettorale sono quelli che hanno fatto registrare più successo in termini di consenso.

Un altro problema serio è che in Italia il prelievo fiscale non è solo eccessivo in termini assoluti, ma è soprattutto tragicamente squilibrato: pagano pochissimo o quasi nulla i possessori di grandi patrimoni immobiliari e finanziari, idem le holding e le società di capitali, mentre pagano molto i piccoli imprenditori con pochi dipendenti e moltissimo i lavoratori dipendenti e i pensionati. In Italia, dunque, il prelievo si concentra su pochi contribuenti: si tartassano i fattori produttivi - lavoro e capitale - e si tassa troppo poco patrimoni e rendite finanziarie.

Così il ceto medio italiano, fatto da una moltitudine di piccolissime imprese, è ormai impoverito e sfiduciato, si sente tartassato e tradito, cerca e non trova una vera rappresentanza politica dei propri interessi. Come rivelano i dati della CGIA di Mestre nel 2011 ben 11.600 imprese hanno chiuso i battenti: è il record storico negativo da quando esiste il Registro delle Imprese.

E' così si è creata questa "ferita civile", che se non viene rimarginata al più presto, espone a gravi rischi, di ogni tipo, la convivenza nazionale.

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